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Scienza Politica Applicata

Qui vorrei proporvi un caso, che con qualche base di scienza politica e chiedendo in prestito qualche concetto alla sociologia, magari alla statistica sociale, perché no, può aiutarci, speriamo, ad arrivare a qualche inusuale riflessione. Iniziamo: Andate a fare un giro nel centro- Italia, in quelle regioni dall’apparenza tranquilla, che appaiono poco sulla cronaca nera nazionale. Scegliete una cittadina non troppo grande, ma nemmeno troppo piccola, sui 40000 abitanti. Adesso cercate di immaginare l’ambiente, questo centro urbano di medie dimensioni, magari con un apprezzabile centro storico, le chiesine, anche un modesto turismo, cinema, supermercati, negozi, strade pedonali, insomma, una città a cui apparentemente non manca nulla, una metropoli in scala ridotta circondata di campagne e zone industriali. Per esperienza personale posso dirvi che la realtà sociale di queste zone è più complessa di quel che sembra. Ricordate il caso Del Turco? Brutta faccenda, lo si credeva una brava persona, e invece. I benpensanti della zona tendono a parlare di un caso isolato, in una Terra di gente onesta. Forse è così, ma grazie al metodo, subito chiamiamo in causa la sociologia, dell’osservazione partecipata, posso dirvi per certo che le cose non sono esattamente come le si vuol far apparire. Dalla mia “ricerca” sul campo, posso dirvi innanzitutto che quella della micro-metropoli è più che altro una facciata, la realtà è pur sempre di un piccolo paese, e come tale dev’essere analizzato. Io sono nato a Lanciano, e credo sia un ottimo esempio per il nostro studio. Questa città in particolare, non è come tutti i comuni dell’entroterra abruzzese, ma ha dei connotati a mio avviso plurimi, e in un certo senso meticci. Per quanto riguarda l’aspetto prettamente “politico”, si tende a comportarsi come città metropolitane invece che da comune di medie dimensioni. Mi spiego: una realtà così concentrata si sposerebbe perfettamente con una “democrazia partecipata”. Sarebbe certamente efficacie, e in questo contesto possibile, promuovere politiche pubbliche di concerto con la stessa popolazione, in quanto le “riunioni comunali” sono pratica diffusa in molte città. La politica, invece di assumere connotati di partecipazione, interazione e concertazione, diventa rappresentativa, neanche troppo, in quanto innanzitutto il comune non promuove occasioni di scambio di questo tipo, inoltre la popolazione tende a farsi rappresentare da persone che spesso non hanno un programma definito, né tantomeno competenze in campo di Pubblica Amministrazione. In sostanza si sottovaluta l’importanza di una buona organizzazione nella comunità, con conseguente spreco di opportunità di sviluppo e di denaro pubblico. In questo quadro, invece di dare spazio a policy communities o ad issue networks, che prevedono la compartecipazione di numerosi attori alle decisioni, si sviluppa una sorta di triangolo di ferro in miniatura, con politiche pubbliche dispensate dai numerosi gruppi d’interesse, presenti naturalmente anche nelle piccole realtà, dalla burocrazia amministrativa e dai consigli comunali, composti da individui che, evidentemente, sentono fortemente la pressione delle singole esigenze degli elettori convinti porta-a-porta, e si dimenticano spesso degli interventi generalizzati. Tutto questo, a livello pratico, risulta dannoso per la comunità tanto quanto è dannoso a livello statale. Se prendiamo in considerazione l’amministrazione pubblica, nel contesto il sindaco e i suoi assessori, possiamo notare che non c’è l’alternanza tra maggioranza e opposizione che si auspica ad ogni livello amministrativo, il che può essere giustificato con l’accortezza e l’attenzione del partito predominante verso le problematiche comuni, ma in virtù della mia esperienza partecipata posso dire di aver constatato che ciò, nella realtà lancianese, ha contribuito essenzialmente e quasi esclusivamente alla creazione di poteri forti, e ha fatto sì che le tanto enfatizzate politiche pubbliche vengano confinate al periodo elettorale, e tradotte in un mero strumento propagandistico che evidentemente attecchisce sugli elettori, ma si rivela dannoso per le finanze e per l’efficienza del comune. Le strade si riempiono di rotonde e asfaltamenti che riducono progressivamente il dislivello col marciapiede, mentre edifici e strutture aspettano da decenni di essere terminati, o demoliti. Le concessioni edilizie sono un altro grave cancro che distrugge a poco a poco una città di queste dimensioni, così come possono portare al collasso un paese. Senza alternanza e senza controllo da parte della popolazione sull’operato comunale, la città in esame si ritrova, ad esempio, con due maestosi centri commerciale a circa 100 metri in linea d’aria l’uno dall’altro, il perché è ancora da scoprire, e cosa provoca un abuso di queste strutture, soprattutto per un paese che non ha domanda sufficiente per assorbirle la loro offerta? Certo che lo sapete! L’indebitamento e, conseguentemente, il fallimento delle piccole attività commerciali, anche di quelle che magari, nella nostra piccola cittadina, avevano una loro storia ed un legame con i compratori che vi si recavano. Iniziano già a delinearsi gli elementi di meticciaggio, e già vediamo come, in termini di sviluppo, questi non conducano da nessuna parte. La qualità della politica insomma è direttamente proporzionale alla partecipazione, i comizi elettorali sembrano ancora uscire dai lontani anni ’30, e la popolazione per lo più s’indirizza verso il buffet più ricco. Analizzando la partecipazione temo non sarà necessario chiamare in causa i vari Hirschman e Michels, come vorrebbe fare qualsiasi studente di scienza politica, perché la trattazione sarà breve. Non c’è partecipazione a livello rilevante, o perlomeno di studio, in quanto: la popolazione è reticente alla politicizzazione, le organizzazioni sono poche e non incentivano alla partecipazione esattamente come non sono esse stesse incentivate dal comune ad esistere, l’unico momento di partecipazione è quasi esclusivamente riconducibile ad una modesta partecipazione elettorale, i partiti predominanti sono strutturati in maniera oligarchica e non riescono ad avvicinare ed a coinvolgere i pochi iscritti. la discussione politica è limitata, l’informazione politica parziale ed insufficiente, non c’è una coscienza comune intorno ad una causa (che sia anche il solo benessere sociale) e lo status socio-economico prevalente, essendo buono, contribuisce al disinteresse verso queste tematiche. Tra le associazioni giovanili, accanto ad una assai poco frequentata sezione dei giovani comunisti, non manca, sull’estremo opposto, una appassionata sezione di Forza Nuova, che una volta all’anno festeggia nella città Medaglia D’Oro al Valore Militare (per le gesta dei nostri giovani partigiani contro il fascista vile e traditor), ma che, di contro, ha più un valore folkloristico che prettamente politico. Nel corso della mia esperienza ho preso parte ad un’associazione culturale studentesca, Baobabfree, che dava, nel suo piccolo, voce a quella fascia di popolazione giovanile che, non stando né di qua né di là, voleva solo imparzialmente analizzare gli eventi che dal mondo le piombavano addosso, e magari provare a muovere qualcosa, in tutti i sensi. Dicono che il peggior difetto dell’osservazione partecipata sia il lasciar trasparire troppo le emozioni del ricercatore, ed io, nonostante l’evidente disappunto, conservo dei legami affettivi, frutto di una defezione professionale, quindi non è consigliabile che approfondisca aspetti strettamente sociologici, ma spero di avervi fornito, a sommi capi, gli elementi per la valutazione. Siamo alla fine di questo tour immaginativo in questa piccola realtà, è tempo di buttar giù qualche conclusione. Ma del resto mi accorgo che il concetto di fondo è abbastanza palese, è la storia dei ragazzini che giocano a fare i “grandi”, in un certo senso. Prendono tutte le azioni, gli atteggiamenti, le consuetudini dei pardi che cercano di educarli, ma li ripropongono senza consapevolezza, e questi perdono di senso. Da qui, le ragioni che motiveranno le riproposizioni dei giovani, non saranno quelle che hanno dato vita al gesto, ovvero alla regola, ovvero al vizio dei “grandi”, ma altre, e queste, per forza di cose, finiranno per distorcerne e delegittimare il significato originario, per sostituirlo con qualcosa di inevitabilmente inappropriato. Infine possiamo porci una quesito quasi scontato a questo punto, ossia, se non si riesce a far funzionare un contesto sociale di 40000 persone, che non sono estranee tra loro, ma vivono e lavorano gomito a gomito, come può essere raggiunto questo obiettivo a livello nazionale, o addirittura internazionale? Se il bene comune viene messo da parte a favore degli interessi privati per poche migliaia di euro, come si può sperare che questo non avvenga quando la posta in gioco è vertiginosamente più alta? Se persone che sono cresciute nello stesso ambiente, che vivono le stesse condizioni, che hanno le stesse problematiche e necessità di fondo, non riescono a cooperare tra loro, come può esistere la cooperazione internazionale?

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