Diario di viaggio (Giorno 15)

Si torna a casa, si passa dall’oceano che è l’Argentina alla vasca per pesci rossi, Lanciano (solo pochi giorni, per carità), in volo per Roma. Sono di nuovo su uno di questi enormi aerobus, ma le informazioni di servizio, ora dispensate nella lingua che mi è più familiare, mi generano una sgradevole sensazione proprio sotto lo sterno. No, non mi entusiasma l’idea di casa. Ieri mattina abbiamo visitato Posadas, che risulta essere una città pressoché anonima, rifugio di nazi-fascisti in fuga dopo la figuraccia della Seconda Guerra. Il pomeriggio a Buenos Aires è stato lento, la stanchezza del viaggio si è fatta sentire più del dovuto, sedata solo dalla visione di un Ateneo, un vecchio teatro, trasformato in un immensa libreria, dove l’interminabile scelta del libro veniva allietata da un suonatore di piano, l’atmosfera di rispettosa quiete combinata alla normale frenesia di un esercizio commerciale rasentava il surreale. Ma dopo la cena, consumata in stato di quiete apparente in uno dei tanti ristorantini attraenti messi in fila lungo tutta la Recoleta, con me e mio padre come due sposini il giorno di San Valentino, seduti vicino ad un gruppo di quattro single incallite, ho rivisto finalmente Marcelo e Marcela, da qui l’incipit all’epifania. L’incontro era stato organizzato via e-mail, io non credo di aver realmente capito ciò che scrivevano, ma ad intuito siamo riusciti a capirci e all’ora stabilita erano davanti l’albergo dove alloggiavo, mio padre ha insistito per venire con noi. Il primo locale dove c’hanno condotti era dalle parti di avenida Libertadores, zona poco turistica frequentata dalla media borghesia locale. Marcelo mi racconta che prima si esibivano molti gruppi lì, ci sono ancora degli strumenti buttati in un angolo, ma dopo un incendio che causò la morte di alcune persone, è diventato raro che locali di questo genere (in apparenza perfettamente adatti) organizzino eventi dal vivo. Dopo il primo giro di bicchieri mi padre era già fuori dai giochi, ad una certa età dormire è importante, e lo si deve preferire al vegliare sul proprio figlio, soprattutto se già in buone mani, così l’abbiamo accompagnato in albergo per poi proseguire il nostro tour. Il secondo locale era molto più alla mano, molto più soffuso, meno smancerie più rock, meno igiene più alcool. Il dj era partito con una sfilza di pezzi rock anni ’70-’80, e noi eravami lì a goderceli tutti con una pinta di cerveza ghiacciata che non voleva saperne di finire. Credo che siano state una decina quelle che hanno accompagnato le nostre impetuose conversazioni, rese impervie dalla lingua, ma agevolate dalla spropositata quantità di birra che la serata torrida invitava ad ingurgitare. Argomenti di conversazione? Tutti. Mi raccontano la loro storia. Lei, prima di fidanzarsi con Marcelo, era sposata, e la loro relazione non sembra essere delle più semplici. Sono docenti di scuola secondaria, e la loro cultura generale è immensa, non c’era argomento di cui non potessimo parlare, il mondo è cattivo, gli stupefacenti allargano le percezioni, mi piacciono i Depeche Mode, preferisco i Radiohead, ho letto tanto di Marquez, lo conosco bene anch’io, che cos’è l’amore, non sono mai stato in Italia. In una serata gli ho raccontato cose che non avevo mai detto, non ho avuto paura di omettere i dettagli scomodi della mia vita, sono arrivati a capire il perché delle sofferenze, mi sono sentito tranquillo, ho svuotato la mente, ora sono più leggero, posso parlare con il mondo. Non è questa una rivelazione? Certo, sembra ovvio raccontare tante cose ad una persona che forse non vedrai mai più, ma poi si ha il modo di farlo? Ho avuto a disposizione due serate per imparare a comunicare con due ragazzi che hanno un età diversa, un’esperienza diversa, vivono in un ambiente diverso dal mio, eppure quelle sere non abbiamo mai smesso di parlare, mai di cercare di capirci, mai di provare a conoscerci, ed è stata la cosa più naturale e semplice del mondo, ci sono volute tredici ore di volo per scoprire possibile una cosa del genere, ci sono voluti loro per farmelo capire, ma ripensandoci ho fatto questo per tutto il viaggio! Le ragazze brasiliane dai lineamenti asiatici, gli sposini, il ragazzo conosciuto sull’aereo, quello conosciuto ad Ushuaia, la commessa del negozio in cui mio padre ha passato una vita, la nostra guida in Patagonia e quella alle cascate, ho avuto modo di conoscerle tutte, per un poco. Mi sono appassionato alla storia di alcune persone, al loro pensiero, e molti hanno fatto lo stesso con me. Non sono certo se questo significhi o meno essere una soggettività che fa parte di un tutto, se è necessario guardare la propria vita da molto lontano per capirsi, se bisogna estraniarsi da ogni contesto e circostanza o è solo che, come succede con la prima ragazza, dev’esserci qualcuno che ti fa innamorare della gente, per capire che non è ovunque una guerra in cui devi sempre guardarti le spalle, che c’è chi d’incularti non ha mezza voglia, e preferisce come te impiegare il tempo che alcuni spendono per farsi crescere dentro invidia e risentimento per trasmettere qualcosa, e lasciarsi invadere da quello che l’altro può donargli semplicemente raccontandogli la sua storia. E’ un’epifania un po’ rozza, lo so, magari poco chiara, ma ora sono inebriato da questo senso di soddisfazione, e voglio solo che la mia sia una bella storia da raccontare. Quando mi hanno riaccompagnato all’albergo, io e Marcelo camminavamo abbracciati e barcollavamo all’unisono, Marcela sorrideva, definirci ubriachi sarebbe stato eufemistico. Ci salutiamo lentamente, ci scriveremo, magari un giorno ci rivedremo, quella era la mia ultima notte in Argentina, e io stavo vivendo un istante assurdo, iniziavano già a mancarmi quei due (quasi)sconosciuti. Sono tornato in camera, la ragazza alla reception era un po’ sconcertata nel vedermi tornare a quell’ora in quello stato. “Fanculo il solipsismo” le avrei detto, ma poi me lo sono tenuto per me, tanto non avrebbe capito. Questa mattina ero uno straccio, mio padre ha avuto il buon gusto di non dire nulla, ho saltato la colazione e sono caduto dal letto. Confermo la mia prima impressione, la Boca è stupenda, la parte eccentrica della città. Dopo gli ultimi acquisti fatti trascinandomi per la città, la guida ci ha portato in aeroporto. Cosa deve succedere appena prima di ripartire ad una persona impacciata e timida come me? Al check-in c’erano un centinaio di ragazze/ine tutte vestite uguali in partenza per DisneyWorld, Miami. Scontato che l’impiegato al controllo dei documenti mi dice che non ho compilato una carta senza la quale non posso imbarcarmi, al chè mi metto su una mensolina rivolta verso le scolarette in coda, zitto zitto per i fatti miei, e inizio a compilare. Alzo gli occhi e le ragazze più prossime alla mia posizione sono appoggiate al ripiano usandolo a mo di balconcino, e mi fissano sorridenti. Le divertiva la mia situazione, alle stronze, trovavano divertente il mio piccolo inconveniente, e facevano di tutto per rallentarmi con domandine idiote nella loro lingua pseudo- incomprensibile. Il mio rispondere in italiano (figuratevi se in una situazione del genere mi metto a sforzarmi di parlare spagnolo) le ha messe ancora più su di giri, ma per fortuna il questionario era terminato e, sorridendo, mi sono congedato. Mentre giravo per il duty free intento a raccattare più stecche di camel e alcolici possibile, sento alla spalle ancora quelle vocine, “el chico, el chico”, si, pensavo, e chi vi riconosce tante quante siete, mentre mi limitavo a salutarle beato, guardandole sfilare a turno prima di riprendere la spasmodica corsa verso il gate per l’imbarco. Ed ora eccomi qui, mentre concludo questo capitolo della mia vita, e mi avvicino alla vasca piccola, dove pesci piccoli si mordono la coda a vicenda per avere più spazio per mangiare, o cagare tutt’al più. E’ stato un piacere condividerlo con me, per il resto, hasta luego y mucha suerte.

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